Mens agile in corpore agile: la metodologia giusta per cavalcare l’onda l’innovazione

da | Lug 10, 2023

La Belle époque del settore ICT

Tra innovazione continua (agile e non solo), proliferazione crescente e alti livelli di competizione, potremmo definire la scena ICT di oggi come una Belle Époque della tecnologia. Ci sono infatti una serie di caratteristiche e dinamiche che ricorrono a distanza di quasi un secolo. Questo rende il momento tecnologico che stiamo vivendo un discendente (elevato a potenza dalle possibilità offerte dalla globalizzazione di società e industria) di quel semi-lontano periodo di esplosione artistico-tecnologica.

Ad esempio, Blockchain, IoT, intelligenza artificiale (anche generativa), metaversi, RPA e digital twin sono solo alcune delle tecnologie che stanno formando e influenzando il futuro del settore. L’aspetto forse più importante dell’avvento e consolidamento di nuove tecnologie sul mercato di oggi è la rapidità con cui l’innovazione viene avvertita, implementata e ricercata. In questo milieu di fermento innovativo, simile al trisavolo di fine 1900, la competitività è una sfida determinante del futuro degli attori economici ICT. Perché proprio a fronte di un’espansione clamorosa del mercato e un ampliamento sbalorditivo dell’offerta del settore, la dinamica migliore per affrontare la crescente competitività strizza l’occhio al principio darwiniano: chi non si evolve, si adatta e si rinnova è destinato a non sopravvivere.

L’atteggiamento nei confronti del panorama ICT può quindi essere di due tipi. Da un lato, si potrebbe cedere al pessimismo cosmico che scaturisce dalla rassegnazione passiva. Dall’altro, si può prendere quest’innovazione frenetica di petto. Questo vuol dire innovare i processi (anche interni), allineando l’offerta alle prerogative della domanda in continua evoluzione e cavalcare l’onda del cambiamento.

E in questo, Spindox ha un asso nella manica.

Il workshop di Bixuit e i segreti di un’innovazione di successo

Bixuit, la BU di Spindox dedicata al design, ha sviluppato un workshop di due giorni (15 e 16 giugno) presso lo Spazio Copernico. Il focus del workshop è stato la tecnologica agile, i principi del design thinking e gli insegnamenti dei numerosi casi aziendali di successo. L’obiettivo del laboratorio è stato quello di approfondire gli aspetti di competitività di questa metodologia. Tra il coinvolgimento continuo degli stakeholder e/o dei clienti nelle decisioni, il confluire di capabilities diverse a ogni stadio del design e il carattere intrinseco di adattabilità e ottimizzazione dei processi risulta la strategia migliore, oggi, per partecipare attivamente e governare in maniera strategica il cambiamento.

Questo, perché la metodologia agile permette di inserire gli attori coinvolti nel processo creativo, garantendone quindi la comprensione di bisogni, desideri ed aspettative. Questo permette di sviluppare soluzioni pertinenti, adeguate e rilevanti per cliente (e non solo). La flessibilità che caratterizza queste soluzioni anche al livello dei processi di design permette inoltre un adattamento continuo e ragionato anche in corso d’opera.

Ma non finisce qui. Una caratteristica distintiva del Gruppo, nel declinare l’approccio agile a livello di portfolio, consiste nell’applicarne i principi anche ai diversi livelli e processi aziendali. Questo garantisce un continuo aggiornamento dell’azienda e dell’offerta con un’attenzione particolare sulla qualità e l’efficientamento delle attività di decision-making.

La tradizione non va fuori moda: la metodologia waterfall

L’applicabilità della metodologia agile e le sue dinamiche fluide, modificabili e trasversali potrebbe sulle prime confondere i meno esperti. Come si implementa l’agile? Qual è il vero vantaggio del coinvolgimento di clienti e Stakeholder nelle iniziali del design di soluzioni? I tavoli di lavoro multi-parte e multifunzione non rischiano di influenzare il tempo e le risorse richieste per lo sviluppo di deliverables, diminuendo quindi la competitività aziendale?

Per rispondere meglio a quesiti di questo genere, conviene soffermarsi anche sulla vecchia scuola. Prima dell’agile, l’SDLC veniva convenzionalmente sviluppato attraverso la metodologia waterfall o a cascata.

L’approccio waterfall consiste in 5 stadi generici:

  • Requisiti: formulazione del contesto applicativo, dei requisiti e delle caratteristiche che una determinata soluzione deve andare a soddisfare, di solito a “carico” del cliente;
  • Design: delineazione di più soluzioni in grado di rispondere alle necessità individuate nella fase iniziale;
  • Implementazione: selezione del design maggiormente aderente e funzionante sotto diversi punti di vista (soddisfazione del cliente, dinamiche di efficientamento di sviluppo, ecc.);
  • Verifica: test della soluzione “privilegiata”, individuata nella fase di implementazione;
  • Manutenzione: lo sviluppo non finisce nel momento in cui si “consegna” la soluzione al cliente, specialmente nel caso di prodotti e servizi per l’ICT. Quest’ultima fase si avvicina al modello dell’offerta PaaS (Product-as-a-Service). Inoltre, include il design di strategie di aggiornamento, manutenzione e patch, unitamente a tutti gli aspetti necessaria a rendere il prodotto durabile.

La logica lineare potrebbe donare all’approccio waterfall un tocco quasi rassicurante, dividendo un processo notevolmente complesso in 5 fasi successive. Tuttavia, è proprio la mancanza di fluidità e di coinvolgimento multilaterale che, nella pratica, dimostra che spesso l’apparente semplicità del waterfall può tendere dei tranelli. Nel contesto dell’elaborazione di deliverable complessi, infatti, la fase di definizione di requisiti da parte del cliente può generare quantità esorbitanti di documenti, descrizioni, presentazioni e concetti. Questo materiale viene poi interpretato nella fase di design da figure professionali lato aziendale che ipotizzano una soluzione che possa soddisfare le necessità del cliente.

Alcuni aspetti fondamentali per un design di successo possono risentire in diversi modi di questo passaggio di materiale informativo da un team all’altro. Innanzitutto, il livello collaborativo relativamente basso (nel senso di collaborazione cliente-azienda) della fase iniziale può portare alla produzione di contenuti il cui linguaggio, espressioni e formulazioni pongono una sfida ulteriore in termini di traduzione in concetti di design. La difficoltà diventa ancor più lampante se si considera che spesso un cliente non ha un’idea chiara dell’applicativo che necessita, se non in termini della problematica che deve andare a sopperire, necessitando quindi anche una consulenza dedicata.  Questo passaggio nebuloso di testimone contenutistico all’azienda fornitore può anche inficiare aspetti come la priorità delle caratteristiche che il deliverable deve avere, che non sempre risulta chiara.

Questi sono solo alcuni dei potenziali punti di debolezza dell’approccio a cascata, che rischiano anche di scatenare un ristagno tra fase tre e fase quattro. Alla luce di un processo di design che non si fonda su una metodologia condivisa, un linguaggio uniforme e una consulenza di qualità, le possibilità e i margini di errori aumentano, e diventa anche più difficoltoso garantire il soddisfacimento del cliente a colpo sicuro.

La metodologia agile: l’approccio giusto per il design in ICT

Per contrasto, la metodologia agile è molto più comprensiva e collaborativa, soprattutto negli step iniziali. L’obiettivo è costruire una base solida e garantire un design di qualità i cui processi fluiscono più efficientemente.

L’intento di questo paragone, però, non è assolutamente quello di sminuire a livello generico l’approccio a cascata. Per certe tipologie di design e progetti è assolutamente preferibile. Problemi diversi necessitano soluzioni e approcci diversi. Tuttavia, considerando il contesto descritto a inizio articolo, ovvero quello di alta competitività e fermento innovativo che caratterizzano il mondo ICT di oggi, l’agile sopperisce con molta più efficacia alle logiche di efficienza, aderenza ai bisogni del cliente, e lo sviluppo di servizi e prodotti di rilievo e durabilità. Meglio ancora se utilizzato in accordo con i principi del design thinking. L’unione di agile e design thinking permette infatti di dipingere un’immagine chiara, composita e dettagliata delle necessità talvolta complesse del cliente.

Nel corso del workshop, Bixuit ha svelato la ricetta segreta del successo dell’approccio agile del Gruppo. Il punto di partenza è la definizione di un tavolo di lavoro che comprende tutti gli stakeholder interessati, suddiviso in gruppi associati a determinati obiettivi. La selezione delle figure che partecipano al tavolo di lavoro avviene con estrema meticolosità. La fase iniziale deve infatti essere aperta a tutte le necessità che il prodotto o servizio finale dovranno soddisfare. Per farlo è necessaria la confluenza di capabilities, know-how e ruoli professionali diversi, organizzati in modo da poter comunque collaborare in simbiosi.

Le attività del tavolo di lavoro, spesso ancorate ai principi e alle dinamiche del design thinking, sono mirate non solo alla creazione di un’immagine dettagliata di priorità, richieste e specifiche desiderate per il progetto, ma anche a un benchmark sulle soluzioni più competitive del momento, nel target di mercato dell’azienda del cliente. Perché oltre al soddisfacimento di un desiderio espresso dal cliente, è fondamentale integrare aspetti consulenza e creazione di valore competitivo, che possa elevare l’azienda cliente e portarla al livello successivo. Nel caso di Bixuit e della società, quindi, parliamo di frontier consulting, perché la consulenza mira a offrire insights e conoscenze del settore il più aggiornate possibile e al passo con i tempi.  

Applicare l’agile significa anche parlare la stessa lingua

Inserendo gli attori interessati all’interno del processo creativo, si condivide anche l’aspetto metodologico di linguaggio del design. In un certo senso, si parla tutti la stessa lingua, e ogni deliverable viene sempre validato e co-costruito, a tutte le sue fasi. Forti di questo spazio e codice comune, l’ascolto del cliente può essere a 360°, evitando potenziali incomprensioni e interruzioni del design in virtù di difficoltà che sorgono più avanti nel processo. Portando attori di business da più aree, si capiscono immediatamente i vincoli progettuali e gli impatti delle diverse decisioni sulle aree interessate, prima di raggiungere il fulcro della fase di product/service design. Per quanto la metodologia agile possa sembrare difficoltosa in fase di avvio, questo sforzo ulteriore previene il ristagno, più tipico della metodologia waterfall.

Per Bixuit e per Spindox, la sapiente comunione tra la metodologia agile e il design thinking è l’arma vincente che permette di unire design, ingaggio del cliente, consulenza ed elementi di know-how. Il tutto, con il valore aggiunto di poter supportare il cliente nello sviluppo del proprio brand senza limitarsi alla mera consegna di un deliverable.

Elena Masia
Elena Masia
Con studi ed esperienze di lavoro internazionali, è una poliglotta in giro per l'Europa con una sola missione: trovare le parole giuste per comunicare nel terzo millennio.

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