Big Data e innovazione: Francesco Lescai e la salute 2.0

da | Giu 22, 2021

Un webinar sul potenziale contributo dei Big Data nell’ambito della salute all’Università di Pavia.

Parafrasando Clive Humby, potremmo affermare che i Big Data sono il nuovo petrolio. Certo, osservando l’evoluzione delle economie domestiche e internazionali nel corso della storia, possiamo notare come queste siano costellate da regolari periodi di frenesia intorno a determinati materiali. Dalla seta all’oro, dalle spezie al petrolio, le merci più diverse hanno ciclicamente definito le dinamiche socioeconomiche e influenzato lo sviluppo geopolitico dell’umanità.

Nel 21esimo secolo sono i Big Data a dominare la scena economica mondiale. Gestiti attraverso supercomputer che possono raggiungere dimensioni e consumi simili a una piccola città, i Big Data sono il risultato dell’accumulazione delle tracce digitali che ci lasciamo dietro ogni giorno. Un biglietto aereo comprato online, la nostra lista personale su Netflix, le app che usiamo per monitorare la nostra attività sportiva: tutto lascia informazioni, che vengono utilizzate e analizzate per i fini più diversi. Probabilmente, la prima interpretazione che l’intuito ci suggerisce quando pensiamo ai Big Data ha a che fare con invasioni di privacy o attività eticamente oscure. Tuttavia, non è detto che gli effetti della raccolta e analisi di questi dati siano solo negativi.

E se non fosse (solo) così?

Lo scorso 10 giugno l’Università di Pavia ha tenuto un webinar sul tema “Innovazione e Big Data: sostenibilità, accesso e partecipazione”. Francesco Lescai, professore associato e responsabile del reparto di Genomica Computazionale presso il Dipartimento di Biologia e Biotecnologie “L. Spallanzani”, ha spiegato come ci siano possibilità finora relativamente trascurate, nell’interpretazione e applicazione dei Big Data. Nuovi obiettivi si possono raggiungere, non solo per attori economici di grandi dimensioni, ma anche per il bene dell’intera società.

Secondo Lescai, esperto di genomica computazionale e bioinformatica, i Big Data possono fornire un valido supporto nell’informare le più diverse decisioni mediche. Tecnologie che registrano e monitorano parametri vitali e stili di vita esistono già da tempo, dalle app sui dispositivi personali alle apparecchiature tecnologiche più sofisticate all’interno degli ospedali. La sfida sta nel trovare il modo di mettere in relazione questi dati. In questo campo, l’applicazione dei Big Data ha un potenziale inestimabile.

Big Data per la salute: un esempio

Durante una normale visita medica, il dottore ipotizza una diagnosi sulla base di ciò che gli raccontiamo. Non c’è modo di essere completamente sicuri che stiamo dicendo tutto ciò che c’è da dire. Magari ci sono dettagli che tralasciamo perché non pensiamo abbiano a che fare col problema per cui ci stiamo facendo visitare. Magari, ci sono sintomi secondari di cui non ci siamo nemmeno accorti. Di conseguenza, il medico potrebbe non avere un quadro completo delle nostre condizioni, necessario per una diagnosi efficace e veritiera. Se, invece, il dottore avesse a disposizione anche dati relativi nostro stile di vita, magari generati da anni di utilizzo di app per la dieta, l’attività sportiva o il ciclo mestruale, la sua diagnosi diventerebbe automaticamente più oculata ed affidabile.

L’innovazione che rispetta la privacy

Intelligenza artificiale, Big Data e conoscenze mediche possono quindi entrare in una collaborazione di enorme valore per la società. Tuttavia, l’integrazione di questi ambiti potrebbe far storcere il naso a chi si preoccupa per la propria privacy. In effetti, ci sono già stati numerosi scandali legati all’uso disonesto dei Big Data (Cambridge Analytica dovrebbe suonare familiare ai più, in questo senso). Secondo Lescai, un’innovazione che rispetta la privacy è possibile solo nel momento in cui promuove e viene operata attraverso la partecipazione. I grandi centri di elaborazione dei Big Data dovrebbero essere totalmente trasparenti, condividendo i paradigmi e i protocolli di analisi con il pubblico.

Nel passaggio da Big Data a Open Data ci sarebbe, secondo l’esperto, un duplice vantaggio. Da un lato, la governance dei criteri di utilizzo e gestione dei dati diventerebbe più equa, grazie a un ulteriore scrutinio a livello individuale. Dall’altro, l’integrazione di iniziative, punti di vista e conoscenze dal basso potrebbe aumentare ancor di più la qualità di interpretazione e analisi di questi dati.

With Big Data comes great responsibility

Intuitivamente, manipolare queste enormi quantità di dati pone grandi responsabilità in termini di adozione di un comportamento sostenibile. A questo proposito, Federica Lucivero, senior researcher specializzata in etica e dati presso l’Ethox Centre di Oxford, ha seguito l’intervento di Francesco Lescai con un’accorta serie di riflessioni. Ad esempio, l’utilizzo di supercomputer o megacomputer genera un discreto inquinamento digitale.

Dallo smaltimento di elementi hardware al mantenimento delle infrastrutture, l’impatto ambientale di questi centri di calcolo è molto più concreto e tangibile rispetto al senso di immaterialità che termini come Big Data o intelligenza artificiale suggeriscono. Di tutto il settore dell’ICT, infatti, sono questi centri di calcolo a registrare la crescita più alta dell’impronta di carbonio. Questo è particolarmente vero in territori dove l’economia è ancora sottosviluppata e dove gli standard sono meno stringenti, in termini di inquinamento. La sfida ambientale, quindi, diventa alquanto ardua: come fare a operare sostenibilmente, se mancano standard internazionali e stime affidabili dei consumi legati ai centri di calcolo?

Una sfida difficile, ma ne vale la pena

Tra questioni di privacy e sostenibilità ambientale, unire salute e Big Data rappresenta un’innovazione di una certa complessità. Moralismi a parte, il senso e lo scopo del progresso, specialmente nel campo dell’ICT, dovrebbe essere proprio questo: aumentare la qualità della nostra vita, ottimizzare e perfezionare le nostre conoscenze e, fondamentalmente, aiutarci a diventare migliori. La strada sarà pure ardua, ma se gli attori dell’ICT di oggi accetteranno la sfida, benefici inestimabili si prospettano all’orizzonte, per la società globale del domani.

Elena Masia
Elena Masia
Con studi ed esperienze di lavoro internazionali, è una poliglotta in giro per l'Europa con una sola missione: trovare le parole giuste per comunicare nel terzo millennio.

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