Le logiche di Big G per gli inserzionisti: quality score e second-price auction

da | Lug 2, 2019

Google Ads, il meccanismo ad asta dietro l’assegnazione di annunci. Ad rank, quality score e second-price auction

Così si passa da Google AdWords a Google Ads

Non possiamo occuparci di Search Advertising e annunci PPC senza fare riferimento a Google Ads. Se siete fermi a Google AdWords, vi siete persi l’importante restyling (ufficializzato lo scorso anno) subito dall’offerta dei servizi di Big G. Ne abbiamo già parlato approfonditamente in un nostro articolo – Addio Google AdWords, arriva Google Ads – dove raccontiamo novità e cambiamenti nella suite dei servizi dedicati alla pubblicità annunciati al Google Marketing Live Keynote 2018.

Quello che tutti i marketer del mondo fino a poco tempo fa conoscevano come Google AdWords, oggi si chiama Google Ads. Cambia il nome del servizio, che si inserisce nell’operazione di rebranding su ampia scala operata da Big G, ma non cambia la sostanza. L’obiettivo rimane sempre lo stesso. Offrire contenuti coerenti e di valore agli utenti. Garantire agli inserzionisti un equo livello di spesa per raggiungere il proprio pubblico.

Google Ads è solo uno dei tre servizi che hanno subito restyling nel mondo Google. La Google Marketing Platform nasce dall’integrazione tra DoubleClick e Google Analytics 360. Mentre, Google Ad Manager, è il risultato della fusione tra DoubleClick for Publisher e DoubleClick Ad Exchange.

I due mondi del network Google Ads

Quando utilizziamo Google Ads accediamo al Network di Google. Un network che, attraverso il motore di ricerca Google e l’aggregazione di centinaia di siti partner, raggiunge circa l’80% degli utenti Internet mondiali (in più di 100 paesi e 30 lingue diverse). 

Questo mastodontico network è diviso in due. Da una parte il Google Search Network. Dall’altra il Google Display Network. Il primo raccoglie gli annunci PPC basati su keyword, mostrati vicini ai risultati di ricerca degli utenti. Il secondo aggrega annunci con contenuti visuali – banner, video ecc. – mostrati nei siti partner Google.

Le diverse tipologie di annunci dell’advertising basato su keyword 

Dimentichiamoci per il momento della parte legata al Display Network. Concentriamoci sul Search Network per capire quali logiche utilizza l’algoritmo di Big G nel determinare l’assegnazione degli annunci. Ma, prima di far ciò, vediamo alcune delle forme che possono assumere gli annunci mostrati agli utenti, nel momento in cui compiono una ricerca in Google.

  • I più comuni sono i Text Ads. Questi sono identici ai risultati organici che si trovano nella SERP di Google e sono composti da uno snippet contenente titolo, URL e descrizione.
  • Le Ad Extensions, sono Text Ads che includono alcuni componenti aggiuntivi come indirizzo, numero di telefono, offerte speciali e altro.
  • Le Shopping Ads richiedono la creazione di una scheda prodotto e appaiono nella rete di ricerca quando l’utente inserisce una query riferita ad uno specifico prodotto. Sono, per ovvie ragioni, molto utilizzate da chi gestisce vendita online tramite siti di e-commerce.
  • Le Call-Only Ads sono Text Ads, il cui titolo è il numero di telefono aziendale. Sono pensate per incoraggiare le persone che vengono raggiunte dall’annuncio a telefonare all’azienda.

Ad Rank e QS: non arriva primo chi offre di più

Per essere il primo annuncio che appare nei risultati di ricerca di Google non basta aggiudicarsi la keyword con la bid (offerta) più alta. Troppo facile. Chi ha disponibilità di spesa maggiore e offre di più appare per primo.

Ricordiamoci che Google non lavora (solo) per gli inserzionisti, ma anche e soprattutto per gli utenti. E il suo obiettivo non è solo fare in modo che l’utente riceva un annuncio coerente con la query inserita, ma anche che questo annuncio sia di qualità. Qui introduciamo i concetti di Ad Rank e Quality Score.

Google determina l’ordine in cui mostrare gli annunci attraverso un’asta. Un’asta in cui non vince chi offre di più ma chi ha il punteggio Ad Rank più elevato. L’Ad Rank è il prodotto tra l’offerta massima dell’inserzionista e il Quality Score (QS).

Il Quality Score è un punteggio di qualità attribuito da Google all’inserzionista che viene calcolato in base a innumerevoli fattori. Tra questi i più rilevanti (e conosciuti) sono: la pertinenza tra la keyword e il contenuto dell’annuncio, la coerenza tra la keyword e il contenuto della landing page, il livello di interazione degli utenti con la landing page, il CTR previsto (ergo, la previsione del numero di clic previsto per l’annuncio).

Semplificando la formula. Il punteggio del Quality Score, moltiplicato per il CPC a cui l’inserzionista si aggiudica la keyword, determinano il ranking finale dell’annuncio. Facciamo un esempio.

L’inserzionista A fa una bid di 3 euro e ha un QS di 2, il suo punteggio di ranking sarà 6. L’inserzionista B fa una bid di 2 euro e ha un QS di 5, il suo punteggio sarà di 10, più basso dell’inserzionista A. L’annuncio dell’inserzionista A verrà mostrato dopo l’annuncio dell’inserzionista B, anche se A ha offerto più di B per l’acquisto della keyword.

Il meccanismo ad asta: second price auction

Quindi, per assegnare gli annunci Google utilizza un modello ad asta in base al punteggio derivato dal suo algoritmo. Che considera CPC offerto e Quality Score per determinare il ranking dell’annuncio.

Facciamo un passo oltre. Google applica un modello ad asta second-price (second price auction). Chi si aggiudica l’asta non paga il prezzo offerto, ma un centesimo in più di quanto offerto dal secondo miglior offerente.

Supponiamo che l’inserzionista A offra 3 euro e l’inserzionista B 2 euro. Se l’inserzionista A si aggiudica l’asta non pagherà 3 euro ogni volta che il suo annuncio viene cliccato, bensì 2,01 euro.

Questo meccanismo del second price auction non viene utilizzato solo da Google Ads. Anche molte piattaforme di pubblicità programmatica utilizzano questa dinamica. A onor del vero, bisogna specificare che proprio in tempi recenti, molte piattaforme Ad Tech stanno passando ad un meccanismo ad asta first price, in cui chi vince paga quello che ha offerto. Google stesso, con il suo Ad Manager, sta adottando questo modello. A voi un approfondimento sulle ragioni di questa scelta.

Torniamo al modello ad asta second-price. Non è certo un’invenzione di Google. Esso affonda le sue radici in quella che prende il nome di “teoria delle aste”. Connessa alla “teoria dei giochi”, è una teoria relativa al modo in cui le persone si comportano quando sono in competizione tra di loro in un’asta. Il modello del second-price permette di rendere la competizione in asta più equilibrata. Inducendo chi partecipa all’asta a puntare per il reale valore percepito nel prodotto – nel nostro caso un annuncio – e non a fare semplicemente l’offerta più alta. 

In breve, questo è possibile, perché sia nel caso in cui tu vinca l’asta sia in quello in cui tu la perda, aumentando o diminuendo il valore della tua offerta non produci alcuna differenza in termini di ritorno sulla tua vincita. Questo induce chi partecipa a puntare per il reale valore che la persona attribuisce all’oggetto dell’asta.

L’utente al centro: non basta offrire di più

Come sempre, Google ha disegnato un sistema che mette l’utente al centro e che premia il reale valore che le persone attribuiscono ai contenuti. Per gli inserzionisti è fondamentale andare a fondo nella comprensione delle logiche che guidano l’algoritmo di Big G. Per ottimizzare la pianificazione dei loro budget media e raggiungere le persone giuste con contenuti rilevanti.

Valeria Vitale
Valeria Vitale
Ariete ascendente Leone, ma sono anche simpatica. La mia forma di espressione preferita è la danza, ma anche a scrivere me la cavo. Mi piace viaggiare, parlare francese e discutere di serie TV.

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