Il seguente articolo è il risultato di una serie di incontri e momenti di confronto con Luca Lisci – Chief Experience Officer di Spindox e Tribe Leader dei brand Blackdee e Graydee (ndr).
“I designer sono mancini, si vestono da designer (prevalentemente di nero e con il maglioncino), si alzano alle 9:00 e lavorano da casa o in studio. I marketing manager vestono in giacca e cravatta. Si alzano alle 7:30 e vanno in un ufficio strutturato”. Scrisse così, qualche tempo fa, Carlo Meo – Amministratore Delegato di Marketing and Trade, docente del Politecnico di Milano, nonché uno dei massimi esperti internazionali sui comportamenti di consumo – nel suo libro Design e marketing. Innovare cambiando i significati di consumo.
Se da un lato non è certamente vero che tutti i designer siano mancini – o che i marketer, indossino abitualmente giacche e cravatte – dall’altro, le differenze e i contrasti evidenziati dai luoghi comuni espressi dal professore, offrono uno sguardo interessante sulla natura dei due mondi – marketing e design.
I luoghi comuni alludono alla diversità dei due ruoli, ma non è altrettanto facile – di questi tempi – individuare dove finisce la missione di uno e dove inizia quella dell’altro. Nel passaggio a digitale, il mercato reale ha assistito (e in alcuni casi subìto), una radicale trasformazione delle modalità di concept, rilascio, consumo e comunicazione di prodotto, con profonde ripercussioni sulle funzioni delle due materie.
L’esperienza nel digitale
Nella trasformazione digitale, il cliente è un utente-consumatore che accede a prodotti e servizi con sempre meno intermediazione, godendo così di un’offerta ampia e di respiro internazionale. I produttori globali standardizzano i formati della merce poggiandosi su economie di scala con prezzi sempre più competitivi e, di conseguenza, estremamente livellati.
Nella lotta per portare a sé il cliente digitale con la speranza poi di fidelizzarlo, e in un contesto in cui le differenze oggettive fra servizi/prodotti non sono poi così evidenti, si agisce a livello di soggettività della persona per rendere gratificante tutto ciò che è collegato all’utilizzo dei prodotti e alla fruizione dei servizi. Essere immersi in un mondo fluido e pervasivo come quello digitale, significa comunicare e ricevere costantemente informazioni: offriamo dati su di noi, sulle nostre abitudini e preferenze, in cambio della “ricetta della felicità”, della soluzione su misura al momento giusto. Perché solo così ci sentiamo gratificati. Solo nel momento in cui esperienza e digitale si fondono.
Introducendo il digitale nel paradigma del valore, si ridefiniscono i processi di costruzione del prodotto/servizio, delle conoscenze a esso correlate e, soprattutto, dei meccanismi relazionali. Inevitabilmente si assiste all’accelerazione dei mutamenti dei significati di consumo. Il cliente si fa più volubile, infedele e incapace di vivere un’esperienza lineare. Il cliente vive una multi-esperienza, fatta di micro-momenti. Per questo motivo, elaborare esperienze capaci di gratificare il consumatore è ormai possibile solo attraverso forme di collaborazione interdisciplinari raffinate. È qui che marketing e design si incontrano e diventano un tutt’uno.
È stato un timido incontro, come tra due sconosciuti che si guardano un po’ scettici dall’alto al basso. Ma poi è parso subito chiaro: se disegnata insieme, l’esperienza poteva superare i suoi stessi confini, per andare al di là di qualcosa concepito per avere un inizio e una fine.
Tuttavia, per capire in che modo avviene quest’incontro e perché, dobbiamo innanzitutto soffermarci su alcuni aspetti base di marketing e design, chiarendone anche la natura.
Occuparsi di marketing non ha mai significato solamente produrre contenuti pubblicitari; così come il design non è mai stato riducibile alla mera progettazione di packaging di prodotti industriali. Eppure, forse oggi come mai, non siamo più capaci di distinguere un prodotto dal suo brand.
Marketing: prima più, ora iper
Nel 1967, Philip Kotler definì il marketing come quel “processo sociale e manageriale diretto a soddisfare bisogni ed esigenze attraverso processi di creazione e scambio di prodotti e valori.”. Al marketing spettano perciò tutte le decisioni relative al prodotto – come le 4P (product, price, place, promotion) per le imprese, e le corrispondenti 4C (consumer, cost, communication, convenience) lato consumatori.
Ma, come accennavamo, al marketing oggi si è aggiunta un “D”: quella di digital. Con il digital marketing si abbracciano nuove forme di relazione con il consumatore mediate dai dispositivi digitali. Non solo le consuetudini tradizionali del marketing si sono trasformate per conseguire gli obiettivi in un nuovo contesto, anche il mutamento delle condizioni di esercizio – da analogico a digitale, da off a on-line, da autoriale ad automatico – ha portato alla perdita del senso antico di personalizzazione dell’esperienza. Quest’ultima ha lasciato spazio a quella che definiamo “standardizzazione iper-personalizzata”, un fenomeno caratterizzato da una continua e impercettibile ridefinizione dell’accessibilità, costellato da picchi isterici di super-consumo che esplodono senza segnali di preavviso. Dunque, la vera forza del nuovo marketing risiede nella possibilità di far vivere al consumatore un numero esponenziale di esperienze con un grado di personalizzazione elevatissimo.
Per questo motivo, poiché la definizione di valore nell’esperienza sul prodotto/servizio cambia, il marketing cambia con essa. Servono nuovi approcci per definire il significato di servizio/prodotto. Nell’ipervelocità del consumatore, i KPI e i risultati del marketing “come lo conosciamo” non sono più scontati. Il marketing adotta nella comunicazione – così come nelle strategie di mercato – regole di gioco tipiche dell’approccio delle reti: affidamento al controllo selettivo del cliente/utente sui messaggi, iper-personalizzazione delle comunicazioni e, soprattutto, interattività molti-a-molti nei processi di scambio.
Un fenomeno tanto globale quanto nazionale. Non c’è quindi da stupirsi del fatto che in Italia il settore abbia un fatturato complessivo di quasi 60 miliardi di euro nel 2018, con una crescita del +9% su base annua e che impieghi 253.000 operatori, con risvolti occupazionali in aumento di un positivo e incoraggiante +15%. Ma per comprendere quanto dirompente sia tutt’ora l’effetto del digital marketing è interessante dare uno sguardo ai valori attesi per l’anno 2019. È previsto infatti un ricavo di 3,4 miliardi di euro per il segmento del mercato italiano della digital advertising, di cui 1,3 miliardi solo per la social media advertising.
(fonti: firstonline.info 2018; Statista, 2019)
Da design a più design
Se il marketing è – in qualche modo – legato alla parola “prodotto”, per il design la parola è indubbiamente “progetto”. Il design è una disciplina tecnica, scientifica, sociologica e umanistica con processi, regole e tecniche specifiche. Indubbiamente, il “bel design” è frutto di un percorso consapevole nelle dinamiche di prestazione del prodotto verso il suo fruitore. Se il marketing storicamente decide perché un prodotto debba esistere, il design lo porta alla luce.
Il design si occupa del processo di progettazione, anzi: qualsiasi processo di progettazione. Non solo prodotto industriale. Packaging, edilizia, servizi. E, nella trasformazione digitale, il design progetta le forme di interazione con i dispositivi arrivando a stabilire metodologie di risoluzione dei (nuovi) bisogni attraverso l’ecosistema digitale. Il (digital) design è diventato una forma di pensiero. Nasce negli anni 2000 in California, la pratica e modello progettuale volta alla risoluzione di problemi complessi attraverso visione e gestione creative: il Design Thinking, appunto. Il processo di progettazione stesso è diventato esperienziale.
Nel Design Thinking si considera implicito che la forma culturale dell’individuo/utente comporti un’adesione totale alle logiche di compartecipazione nel processo di progettazione. Al punto che: non solo si parla di empathy, co-design e iterative feedback ma si allude addirittura all’orizzonte di rivoluzioni sociali quando si parla di need, stakeholder e human-centric approach. È stato l’impiego di strumenti culturali evoluti con la cultura di Internet a consentire al caro e vecchio design collettivo di diventare Design Thinking, alla convergenza fra utente/cliente/persona/gruppo.
Date queste premesse, va da sé che oggi il design non può far altro che occuparsi della creazione di contesti esperienziali. Non appena il valore dell’esperienza si è aggregato significativamente su quello del prodotto/servizio, il design ha dirottato verso la progettazione di esperienze veicolate dal servizio/prodotto nel contesto digitale.
1+1 = mille
Insomma, la solenne rotta di collisione fra marketing e design è conseguenza di forze in azione interne al mercato. Un lento incedere partito con la Rivoluzione industriale e arrivato sino a noi, dove si stanno abbattendo le intermediazioni e il prodotto/servizio diventa sempre più “commoditizzato”. È infatti il passaggio dalla produzione e acquisto di prodotti e servizi a quello di costruzione e fruizione di esperienze personali e collettive, a saldare il legame fra marketing e design, dove ci si avvia alla fusione fra i due.
L’esperienza di cui parliamo è quella che ha a che fare con sensazioni, emozioni e relazioni: ciò che si prova nell’utilizzo di prodotti e servizi, nell’appartenere a quel prodotto e servizio. È quindi il momento di abbandonare il concetto duale di customer experience (CX) separata dalla user experience (UX). Se il brand possa effettivamente esplicare il ruolo centrale di centro di gravità dei clienti/utenti, è una scommessa dei grandi market leader, come nel caso del polo di lusso LVMH. Quest’ultimo, con operazioni di branding selettive sta stratificando le esperienze nel suo ambito on-line nel tentativo di conquistare tanto le masse quanto i pochi privilegiati. Ma la stessa domanda trova risposta certa quando osserviamo il gigantismo di alcune start-up degli anni ’90. Queste, grazie al loro approccio sistemico, hanno in un certo senso generato la fusione stessa fra CX e UX, dando origine alla digital transformation. Sono i casi di Amazon e Google.
Mettiamoci sopra una X
Sintetizziamo.
Il marketing si occupa di analizzare, verificare e promuovere la scalabilità di un prodotto o servizio. In altre parole, esamina la capacità di un prodotto o servizio di espandersi e crescere indefinitamente. Il suo obiettivo ultimo è massimizzare i numeri: più vendite, più clienti, più margini di profitto. La sua fede è nel numero sacro, il suo oggetto di studio è la persona-consumatore.
Il design ha una visione diversa. Conosce i materiali e le forme, sa come combinarli nel modo più funzionale ed estetico, è ossessionato dalla qualità e dalla cura per il dettaglio. Ambisce a creare il prodotto sacro, si interroga sulla persona-utente.
L’interazione. Cioè l’influenza che si genera da atti di azione e reazione. Le componenti di qualità, prezzo, forma e comunicazione non possono più essere considerate oggi come due entità distinte. È il risultato della combinazione di tutti i fattori a determinare il valore percepito, a suscitare sensazioni ed emozioni diverse. La differenza fra quello che mi fa provare A e quello che mi fa provare B è in una X, che non si misura nell’acquisto, ma nella partecipazione.
Dai tempi in cui il marketer ha cominciato a guidare le scelte nella definizione del prodotto, e da quando il designer ha incominciato a presidiare la comprensione dei bisogni del consumatore, qualcosa è cambiato. La digital transformation ha posto le persone e le aziende in un processo di continuo cambiamento. Un cambiamento in cui l’adozione di tecnologie da parte delle aziende è finalizzata agli stessi obiettivi delle persone: avvantaggiarsi di connessioni e relazioni, dotarsi di potere d’acquisto, vendita, comprensione. Le persone, così come le aziende, sono completamente immerse nella tecnologia digitale, ovvero in un iter di ridefinizione e riorganizzazione incessante per fronteggiare continui cambi di scena che il contesto comporta.
Tirando le somme
Vi è perciò un unico valore, centrale e incontrovertibile, dove azienda e persona s’incontrano: il valore X. Quello di partecipazione all’esperienza che entrambi creano con la loro stessa relazione. L’esperienza è focalizzata sull’umanità del soggetto, on e off-line, in cui l’azienda non è chiamata a somministrare valore per l’utente, bensì a generare valore insieme a lui.
Interloquire con – e non gestire – la complessità dell’essere umano in questo contesto super affollato di stimoli richiede un approccio olistico. Cioè, la capacità di operare su più livelli contemporaneamente, possedendo risorse di culture e competenze diverse che permettano di generare la migliore esperienza. Un’esperienza dove l’interlocutore non è più solo un utente o un consumatore, ma una persona finalmente chiamata al dialogo.