Intelligenza artificiale generativa: funzionalità o prodotto?

da | Ott 29, 2024

L’ intelligenza artificiale generativa è a un bivio: può evolversi da funzionalità a prodotto, con un valore economico significativo, ma le attuali limitazioni tecnologiche e i costi elevati rappresentano barriere rilevanti.

Difficile non concordare con Stephanie Kirmer, quando sostiene che oggi l’intelligenza artificiale generativa (GenAI) si trova a un punto di svolta  (The Economics of Generative AI, in «Towards Data Science», 1° agosto 2024). Si tratta di capire se abbiamo a che fare con una funzionalità o con un prodotto. Se la GenAI è un prodotto, o al limite può diventarlo entro un orizzonte di tempo ragionevole, vuol dire che ha in sé un valore sufficiente perché la gente trovi sensato acquistarlo. Non si tratta di una questione da poco. Un conto è disporre di una tecnologia altamente avanzata, un altro conto è essere capaci di creare, da quella tecnologia, un prodotto che la gente acquisterà e ricavarne un modello di business sostenibile e rinnovabile.

Si pensi a qualcosa che tutti conoscono, come ChatGPT. OpenAI vuole venderlo come un prodotto per il mercato di massa. Ma vale la pena di spendere 20 dollari al mese per averlo? Se la risposta è negativa, si mette male per ChatGPT. I rischi sono decisamente minori nel caso in cui la GenAI non è un prodotto, ma solo un selling point addizionale. Prendiamo Google Search e il suo tentativo, per ora poco convincente, di aggiungere brevi sommari, confezionati con la GenAI, alla tradizionale lista di risultati ordinati per rilevanza. Se questa feature non piace, è sufficiente «spegnerla» per continuare a usare il motore di ricerca alla vecchia maniera. Anche Apple, per il momento, sembra avere abbracciato questa filosofia: l’obiettivo è integrare le linee di prodotti esistenti e future, rendendo l’iPhone più utile, piuttosto che vendere un modello nuovo come prodotto a sé stante.

Un discorso analogo vale se ci spostiamo dal mercato consumer a quello delle applicazioni di tipo enterprise, in cui Spindox opera. La domanda continua a essere: la GenAI è una funzionalità o un prodotto? Oggi la risposta è a nostro avviso semplice: salvo rari casi, la GenAI non ha in sé, al momento, un valore tale da giustificarne la commercializzazione (e l’acquisto) come prodotto. Può darsi che le cose cambieranno domani. Molto dipende dalla capacità di addestrare nuovi modelli, per migliorare le loro performance. Ma l’addestramento ha un costo che pochi possono permettersi, almeno fino a quando non si troverà il modo di realizzarlo con una potenza di calcolo ragionevole. Un costo forse eccessivo anche per le big tech. OpenAI potrebbe perdere fino a 5 miliardi di dollari quest’anno, secondo un’analisi di «The Information», basata su dati finanziari interni non divulgati in precedenza e su persone interne all’organizzazione (Amir Efrati, Aaron Holmes, Why OpeAI Colud Lose $5 Billion This Year, 24 luglio 2024. Se la cifra è giusta, l’azienda, recentemente valutata 80 miliardi di dollari, avrà bisogno di raccogliere altro denaro nei prossimi 12 mesi o giù di lì.

Secondo David Cahn (partner di Sequoia), «AI CapEx» è un eufemismo per indicare la costruzione di data center fisici con terreni, energia, acciaio e capacità industriale. Ci troviamo ora in un ciclo di escalation competitiva fra tre delle più grandi aziende della storia del mondo, che valgono collettivamente più di 7T$ (The Game Theory of AI CapEx, 16 luglio 2024). A Cahn la cosa non preoccupa. Tuttavia, secondo gli strateghi di Goldman Sachs gli investitori sono sempre più preoccupati che gli hyperscaler tecnologici statunitensi (Amazon.com Inc., Meta Platforms Inc., Microsoft Corp. e Alphabet Inc.) stiano spendendo troppo in intelligenza artificiale. Queste realtà megacapitalizzate hanno utilizzato circa 357 miliardi di dollari in CapEx e R&D nell’ultimo anno. «Data l’attenzione e l’architettura della tecnologia di GenIA oggi […] i cambiamenti veramente trasformativi non avverranno rapidamente e pochi – se non nessuno – si verificheranno probabilmente entro i prossimi 10 anni» ha affermato Daron Acemoglu del MIT nel rapporto Top of Mind di Goldman Sachs (Gen AI: Too Much Spend, Too Little Benefit?, 27 giugno 2024).

È ciò che spieghiamo ai nostri clienti. Oggi la nostra prospettiva è quella che integra la GenAI in uno scenario più ampio. Il prodotto, o – per meglio dire – la soluzione, va disegnato partendo dall’obiettivo di business del cliente, entro una cornice che include più cose: competenze di dominio, capacità di modellare il problema, una visione ampia dell’intelligenza artificiale (inferenza predittiva tramite macchine learning, ma anche inferenza causale, ottimizzazione matematica e generazione di nuovi contenuti), gestione coerente, affidabile e sicura del dato, integrazione con il contesto dei sistemi informativi, valorizzazione dell’esperienza dell’utente. Con, in più, l’acceleratore-abilitatore costituito dalla nostra piattaforma di decision intelligence, Ublique.ai, che permette di orchestrare il flusso dei dati e di mettere insieme tutti i modelli analitici e gli algoritmi necessari. È in questo quadro che la GenAI può portare valore.

Paolo Costa
Paolo Costa
Socio fondatore e Direttore Marketing di Spindox. Insegno Comunicazione Digitale e Multimediale all’Università di Pavia. Da 15 anni mi occupo di cultura digitale e tecnologia. Ho fondato l’associazione culturale Twitteratura, che promuove l’uso di Twitter come strumento di lettura attraverso la riscrittura.

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