META SIAE: Tanta musica per nulla?

da | Mar 17, 2023

Meta e SIAE si scontrano nella guerra dei reels. Una sfida, quella sulle concessioni musicali legate ai social, che sarà sempre più centrale. E guai a dire che “Sono solo canzonette”

Ultime notizie: l’accordo è saltato. Quale accordo? Quello fra Meta e Siae, ovviamente. Il colosso di Menlo Park, creatura di Mark Zuckerberg, ha emesso un comunicato pieno di rammarico. Rammarico a cui si accompagna però un certo aplomb nel descrivere la situazione di stallo che ha portato alla chiusura unilaterale della trattativa:

“Purtroppo, non siamo più riusciti a rinnovare il nostro accordo di licenza con SIAE. La tutela dei diritti d’autore di compositori e artisti è per noi una priorità, e per questo motivo da oggi avvieremo la procedura per rimuovere i bravi del repertorio SIAE dalla nostra libreria musicale”.

Una mossa che si traduce, nel concreto, nell’impossibilità di utilizzare un repertorio immenso. Solo per avere un’idea, all’ultimo festival di Sanremo non erano brani SIAE solo cinque brani: “Due”, “Alba”, “Made in Italy”, “E se Domani” e “Un bel viaggio”.

Meta risponde con aplomb nella nota inviata al Corriere della Sera, come già detto, ma non rinuncia a lanciare una stoccata alla Società Italiana Autori ed Editori

“Abbiamo accordi di licenza in oltre 150 Paesi nel mondo. […] Crediamo che sia un valore per l’intera industria musicale permettere alle persone di condividere e connettersi sulle nostre piattaforme utilizzando la musica che amano”

Una situazione inaspettata. Ma cosa è successo?

Don’t say cat…

Il primo gennaio scadeva l’accordo con SIAE, di durata pluriennale. Accordi rinnovati senza troppi patemi in Turchia, Spagna, Francia, Germania, Svezia e Regno Unito. Tutto questo tramite un accordo standard, in grado di mettere più o meno d’accordo.

SIAE opta per una posizione più attendista: nessuno desidera essere tagliato fuori da un mondo grande, redditizio e visibile come quello dei Social. Proprio per questo, come segno di buona volontà (o forse di una posizione delicata) anche dopo la scadenza dell’accordo, la possibilità di postare reels con musica italiana non è mai stata messa in discussione. Fino a una scelta che nessuno si aspettava, SIAE per prima:

“Colpisce questa decisione, considerata la negoziazione in corso, e comunque la piena disponibilità di SIAE a sottoscrivere a condizioni trasparenti la licenza per il corretto utilizzo dei contenuti tutelati. SIAE non accetterà imposizioni da un soggetto che sfrutta la sua posizione di forza per ottenere risparmi a danno dell’industria creativa italiana”.

Un pasticciaccio in cui a rimetterci sono in primo luogo gli artisti e gli utenti: in un mondo dell’industria creativa sempre più debole a livello finanziario, ci si può immaginare il danno a livello di immagine e di pubblicità. Dall’altra, Meta ha già annunciato che nel minor tempo possibile cancellerà i reels e le stories con musica targata SIAE. Che, a detta della stessa Società è il 99% della canzone italiana.

SIAE e Meta: davvero tutti gli altri sono stati “Zitti e buoni”?

Turchia, Spagna, Svezia, Francia, Germania, Regno Unito… Possibile che solo la SIAE abbia qualcosa da ridire? Beh, non è proprio così. L’anno scorso c’è stato un contenzioso piuttosto serio fra Meta e la svedese Epidemic Sound, uno dei maggiori providers di musica royalty free.

Epidemic aveva accusato la società di Mark Zuckerberg di aver infranto il copyright di migliaia di brani, non facendole vedere nemmeno un centesimo per musiche ed effetti sonori il cui utilizzo è libero, ma passa per la menzione di autore e casa di produzione. Meta aveva risposto sdegnata che “Epidemic non è in grado di menzionare nemmeno uno di questi casi”, ma la causa è ancora in piedi mentre scriviamo.

Meta in crisi?

Una situazione, quella che si è venuta a creare, che poteva essere evitata. Ma la verità è che Meta sta affrontando un’enorme crisi che è sistemica e che minaccia i conti di un’azienda che fino a 3-4 anni fa era un player quasi monopolista del mercato social.

L’innovazione è un’ossessione per Meta. Il suo stesso nome, è una promessa di un salto tecnologico pesantissimo: Meta dovrebbe portarci nel metaverso. E’ per questo che è stato fatto il rebranding, è per questo che l’azienda di Mark Zuckerberg un anno e mezzo fa ha deciso di seguire una direttrice di innovazione importantissima.

Il problema qual è? È che sviluppare un metaverso costa molto. Zuckerberg insiste su questa evoluzione, ma non può non prendere atto che il suo sogno non tiene conto di una realtà aziendale che è sempre più traballante. Solo tre mesi fa, Zuckerberg annunciava:

“Ho deciso di aumentare significativamente i nostri investimenti. Sfortunatamente, non è andata come mi aspettavo. Non solo il commercio online è tornato alle tendenze precedenti, ma […] le nostre entrate sono molto più basse di quanto mi aspettassi. Ho sbagliato, e me ne assumo la responsabilità”

Quel giorno sono stati licenziati 11.000 dipendenti di Meta. A cui seguono altri 10.000 licenziamenti nel mese di marzo e 5.000 annunci di lavoro chiusi. Il titolo di Meta ha guadagnato il 6%, ma degli shock di questo genere, al di là di ogni considerazione morale, non possono essere utilizzati come strumento ordinario per la gestione finanziaria di un’impresa.

Ci siamo trovati per anni a pensare che il settore dei grandi player del social networking fosse totalmente estraneo da ogni tipo di crisi. Ma abbiamo diversi segnali d’incertezza: Facebook che perde iscritti (e ora anche dipendenti) negli ultimi mesi; Twitter che passa di mano a Elon Musk e subisce un taglio lineare che si porta via quasi metà della sua forza lavoro.

Meta e la sindrome di Blockbuster

E poi, nel caso di Meta, gli investimenti di Zuckerberg sul settore metaverso, che portano un’azienda in difficoltà ad andare in perdita. La logica del fondatore di Facebook potrebbe essere dettata da una sorta di sindrome Blockbuster.

Nel 2000 Blockbuster era il monopolista del settore home video negli States. In quell’anno, si presenta un’azienda semisconosciuta, Netflix, che propone al management dei re del noleggio di acquistarla. I dirigenti dicono di no, e 10 anni dopo Blockbuster fallisce e Netflix prende il suo posto.

Il metaverso, l’acquisizione dei social concorrenti, il riprendere delle innovazioni dalle piattaforme in competizione con la sua è forse segno di una paura di Zuckerberg di perdere quel treno dell’innovazione ed essere detronizzato. Il problema è: fino a che punto questa cosa potrà essere sostenibile?

Lotta contro la deregulation

A complicare le cose, l’impressione di una leggera insofferenza da parte di Meta per quelle che sono le nuove regole europee: negli ultimi anni, il rapporto fra Zuckerberg e Bruxelles si è complicato non poco a causa di diversi scontri. 

Il primo ha a che fare col caso Cambridge Analytica e con la sua influenza sulla campagna elettorale pro-Brexit. Seguono tutte le leggi legate alla privacy messe in campo dalla Commissione a Bruxelles, prima fra tutte il GDPR, che cozzano con una visione molto più “permissiva” di raccolta e utilizzo dati da parte del Governo statunitense.

E solo un anno fa, a febbraio 2022, Menlo Park aveva minacciato l’UE di andarsene, se la legislazione non fosse stata resa più permissiva nei confronti dei giganti dei big tech.

A dicembre 2022, invece, è stata aperta una procedura d’infrazione contro Meta per abuso di posizione dominante. Perciò, la negoziazione è tutto fuorché serena

SIAE, nell’opporsi, si rifà alla normativa europea sul copyright del 2019, sottolineando come i guadagni dovrebbero essere legati al numero di ascolti del singolo artista, e non a una cifra forfettaria.

Sempre nel comunicato SIAE viene sottolineato che:

“Tale posizione, unitamente al rifiuto da parte di Meta di condividere le informazioni rilevanti ai fini di un accordo equo, è evidentemente in contrasto con i principi sanciti dalla Direttiva Copyright per la quale gli autori e gli editori di tutta Europa si sono fortemente battuti”.

Fra i due litiganti (Meta e SIAE), il terzo (TikTok) gode

Ma c’è vita fuori da Meta. E non è una cosa da sottovalutare: Tiktok potrebbe approfittare di questa contesa per ottenere una sorta di “esclusiva de facto” sulla musica italiana.

Un bel risultato per un social come quello di Bytedance, finito negli ultimi mesi nell’occhio del ciclone per scarsa tutela della privacy in UE. Uno smacco ancora più pesante, se si pensa che i reels siano stati incentivati, anche a livello algoritmico, per frenare l’ascesa del social cinese. Che adesso intravede prospettive di crescita vertiginose.

Meta e SIAE: tanta musica per niente?

Giulio “Mogol” Rapetti, l’ex paroliere di Lucio Battisti e presidente onorario SIAE, è già sul piede di guerra:  

“Queste piattaforme guadagnano miliardi e sono restie a pagare qualcosa. Gli autori vivono grazie ai diritti d’autore e la nostra è una battaglia giusta che facciamo di difesa degli autori. La stessa minaccia di Meta l’aveva fatta tempo fa anche Google: poi l’accordo è stato trovato”

Una posizione che ha raccolto parecchi consensi. In compenso, l’eventuale battaglia non sarà facile: Meta ha una forza contrattuale enorme. E poi, fornisce al mondo musicale italiano entrate di cui difficilmente può fare a meno. Questo lo Spiega Enzo Mazza, della Federazione Industria Musicale Italiana:

“Speriamo si trovi rapidamente una soluzione, perché l’impatto di questo mancato accordo tra Siae e Meta potrebbe avere rilevanti effetti economici sul complesso dei ricavi dallo streaming musicale in Italia”

E quindi, alla fine, SIAE riuscirà a resistere a Meta? Oppure ci troveremo in una situazione gattopardesca, in cui la rottura si evita e avremo fatto tanta musica per niente?

Camillo Cantarano
Camillo Cantarano
Ho sempre avuto le idee chiare: ho una laurea triennale storia medievale e sono vissuto a Parigi, quindi adesso lavoro nell’ambito di comunicazione e giornalismo a Roma. In mezzo, ho studiato giornalismo, ho lavorato su mondo crypto e criminalità, ho scritto un po’ e ho accumulato tante esperienze significative. Non mi spaventa scrivere di nessun argomento, a parte “scrivi qualcosa su di te”

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