La Milano Digital Week di quest’anno ha un tono introspettivo e umanistico. Perché la vera trasformazione è culturale, non tecnologica.
Digital Transformation: istruzioni per l’uso. È il titolo dell’incontro organizzato da Asseprim e Randstad, nell’ambito della Milano Digital Week. Ci siamo anche noi, ad ascoltare e a dire la nostra.
Impatto della tecnologia e mercato del lavoro: facciamo il punto
La domanda è sempre la stessa: che lavoro faremo da grandi? Si parte dall’analisi di Randstad sulle posizioni di lavoro emergenti e su quelle che saranno meno richieste nei prossimi anni.
È ormai scontata l’idea che la tecnologia denominerà molte delle professioni del futuro. Questo significa che, per affrontare la trasformazione digitale, le aziende devono carrozzare il proprio equipaggio con competenze nuove. Anzi, con competenze che cambiano in continuazione. Rivoluzionare, distruggere, ridistribuire e creare lavoro sono ormai pratiche all’ordine del giorno. «Solo che, rispetto al passato, i cicli di vita delle competenze sono molto più brevi», afferma Andrea Bellini, HR Manager di Widiba.
Si parla di talent scarcity o talent shortage
È la tendenza che connota un’ampia fascia di aziende. Si evidenzia un’insufficienza di competenze utili ad cogliere la nuova sfida tecnologica. Si prevede che nei prossimi decenni la situazione potrebbe peggiorare e saranno necessarie competenze completamente nuove da parte delle organizzazioni.
Il settore per definizione più esposto al gap tra domanda e offerta di lavoro è quello dell’ICT. Ma ormai le competenze digitali servono anche per fare l’operaio tradizionale. Il quale non lavora più come una volta, ma si trova sempre più spesso a operare in postazioni altamente tecnologiche e a comunicare con strumenti digitali.
Servono soprattutto capacità di apprendimento e di problem solving, associate alle competenze tecniche di linguaggio, che oggi ci sono, ma che fra due anni già saranno superate. La competenza tecnico-specialistica è quella che paradossalmente si può apprendere più facilmente. La sfida più ardua per le aziende è quella di avere una squadra capace di rimettersi in gioco in continuazione.
Focus sulla richiesta di competenze in ambito AI: gli italiani sono i più ottimisti
Il dato interessante è l’attitudine positiva delle persone. Randstad pone un accento su come questo processo di continuos improvement viene percepito soprattutto da coloro che si stanno affacciando sul mercato del lavoro.
Se parliamo di sviluppo di competenze in termini di Intelligenza Artificiale, gli italiani sono i più ottimisti. Infatti, come emerge dal grafico in basso (tratto da una ricerca condotta da Randstad), rispetto a Germania, Francia, UK e Spagna gli italiani sentono una forte necessità di formarsi in discipline digitali. La loro percezione è positiva: la robotica e l’intelligenza artificiale influenzeranno positivamente il lavoro nel prossimo decennio. Ma tutto ciò rappresenta un’opportunità. C’è una voglia diffusa di essere formati in queste discipline.
“AI is one of the most important things humanity is working on. It is more profound than electricity or fire.” The nature of work is fundamentally changing, and that is shifting the link between education, training and opportunity.
Citazione Sundar Pichai, CEO Google | Launching Job Training Initiative of $ 1B (Oct – 17)
Anche lo scorso anno in occasione di Campus Party, avevamo affrontato, insieme a Randstad, il tema di quanto i robot ci potessero rubare il lavoro. Leggi qui per approfondire.
Lo scenario apocalittico (o opportunistico) della Digital Transformation
L’abbiamo detto e ridetto: ci troviamo in un mondo caratterizzato da un sovraccarico informativo e su una serie di sollecitazioni continue. L’informazione è qui e subito, senza apparenti mediazioni. Siamo immersi in un’interazione continua.
Un mare di tecnologia invisibile
Facciamo degli esempi.
WhatsApp non è una chat: nei contesti aziendali è uno degli strumenti più efficaci per la gestione di trattative. Le ricerche dicono che attraverso WhatsApp fornitore e cliente si scambiano preventivi, ma anche visioni, stati d’animo, prendono appuntamenti e arrivano a un passo della chiusura del contratto. È difficile nascondersi: dietro quelle due spunte azzurre è nascosta la reperibilità dell’azienda. Quindi l’aspettativa del consumatore è una risposta veloce e istantanea.
Netflix non è cinema on demand: è un sistema che, conoscendo i nostri gusti in modo sempre più accurato, tara la sua offerta in tempo reale e pervade la nostra quotidianità. Possiamo usufruirne quando e come vogliamo. E questo genera un’indissolubile dipendenza.
Amazon non è e-commerce: siamo passati da tre clic ad un solo clic. È un alleato con una risposta sempre pronta e attenta a bisogni che nascono di giorno in giorno. Ci conosce sempre meglio. E, di nuovo: genera dipendenza.
I social non sono un hobby: abbiamo già parlato qui e qui di quanto abbiamo bisogno di esprimere la nostra, del complicato rapporto tra peso e leggerezza della tecnologia nella vita quotidiana, di quanto abbiamo bisogno di avere informazioni real time e fin dai primi minuti del risveglio e di quanto spesso ci troviamo spesso a soffrire di F.O.M.O. (Fear of Missing Out).
Digital Transformation: tre metafore cinematografiche
Ma quindi, cosa dovrebbero fare le aziende nell’immediato?
Prima mossa: prendere atto delle tre sfide (o aspettative) dei consumatori
- La prima sfida si chiama tempo reale: le aziende devono provvedere a munirsi di tecnologie che raccolgono grandi volumi di dati e pensare a nuove idee di business che «sfruttino» tutte queste informazioni per predire il comportamento dei consumatori e capire come dirottare il proprio business.
- La seconda sfida è l’Intelligence: occorre acquisire strumenti che elaborino i dati e mettano a punto algoritmi in grado di dirottare le scelte del consumatore.
- La terza sfida è l’Experience: acquisire competenze che ridefiniscano e ridisegnino l’esperienza del nostro cliente in maniera multicanale.
Seconda mossa: adottare un’organizzazione veramente agile
Se non si vuole fare la fine del capitano conservativo del Titanic, occorre affidarsi e consultare chi è seduto su questo trend della digital transformation e fare piccoli, ma lungimiranti passi. Può sembrare un concetto scontato per alcuni, ma cambiare la mentalità di chi guida piccole o grandi imprese non è affare facile, bensì un processo lungo e tortuoso che parte da un cambiamento culturale.
Widiba e Praxi non hanno dubbi da questo punto di vista. È indispensabile rivedere il proprio modello organizzativo. Il presupposto di provare a fare empowerment sulle risorse per la scelta del modello organizzativo più appropriato è sintomo di responsabilità e cultura.
Nello specifico, potrebbe essere utile rivedere il proprio modello in chiave agile. Molti sanno di cosa si tratta, altri si immaginano solo riunioni ricolme di post it colorati.
Rivediamo alcuni principi del manifesto Agile:
- messa a punto di un modello organizzativo in cui i dipendenti hanno obiettivi ben chiari e completa libertà e responsabilità nell’adottare azioni che loro, non i loro capi, decidono essere le migliori.
- stabilire riunioni (o cosiddette cerimonie) efficaci, sincere, propedeutiche e dalle quali si esce con strumenti o concetti concreti da poter mettere in atto subito.
- condivisione e degli obiettivi e della strategia con il cliente interno ed esterno
- messa a punto di un modello che prevede unità di business separate. In questo modo, i modelli organizzativi vengono definiti dal contesto e dalla tipologia di servizio/prodotto e la percentuale di rischio sulla rendita totale è maggiormente controllata.
Le persone, il vero denominatore comune
Occorre quindi mettersi in gioco, velocemente e concretamente. Perché tutto questo rispecchia anche le aspettative delle nuove generazioni, che sono il valore sul quale investire nel progetto di trasformazione.
Il fil rouge di questa edizione di Milano Digital Week, sembrano essere le persone. C’è un estremo bisogno di umanità da tutte le parti in gioco.
Riporto di seguito alcune citazioni degli speaker che si sono susseguiti durante l’incontro. Le aziende presenti sono un buon campione di differenti punti di vista. Ognuna, per la sua specializzazione, rappresenta una concreta opportunità di aiuto a chi si sente sovraffaticato e confuso da questa trasformazione.
Randstad Technologies Italia| Roberto Rossi, Head of Technologies: «Chi fa scouting di risorse ormai è chiamato anche a formare le nuove leve e ridefinire le professioni del futuro. Randstad prova a contrastare la talent scarcity con la divisione education».
Spindox | Mauro Marengo, Partner & Chief Clients Officer: «Il suggerimento è quello di non abbandonare l’eccellenza e di fare tanti progetti sperimentali. E poi, occorre agire sempre con consapevolezza, ossia avere un’idea chiara e precisa del modello di business che si intende sviluppare».
Widiba | Andrea Bellini, HR Manager: «Il manager diventa un coach che cerca di mantenere i principi e le poche regole di governo. Si parla di leadership distribuita. Dal modello di business si passa al modello di persone».
Praxi | Andrea Del Monte, Senior Partner – Organizzazione e Consulenza: «La tecnologia non è sufficiente. Serve scalabilità e un’organizzazione agile. L’organigramma non è più costituito da rettangolini posti in maniera piramidale e non è più basato sull’autorità formale, ma sulla responsabilità, il coinvolgimento e il consenso oltre alla conoscenza e la focalizzazione sui problemi».
ForTale | Annalisa Quaranta, Business Developer: «Uno dei processi aziendali da modernizzare è sicuramente la vendita e la capacità di generare ispirazione creativa all’interno delle aziende clienti. Occorre trasformare la figura del Sales Manager in quella di un Reporter creativo e ispirazionale».
ImpactSchool | Andrea Geremicca, CMO & Co-Founder: «Esponenzialità: la condizione naturale della trasformazione e la velocità devastante di essa. D’altronde, non è poi un principio così nuovo. Gordon Murray, co-founder di Intel, l’aveva detto agli inizi degli anni ’50. Lui parlava disemi conduttori, che potremmo metaforicamente identificare come dei processori, la cui capacità computazionale di un processore raddoppiava ogni 18 mesi. È quello che sta succedendo adesso».
Chief Philosophy Officer: è forse questo il vero nuovo ruolo nascente?
In Silicon Valley ci hanno già pensato.