Ultrauffici del futuro: dall’individuo al virtuale

da | Mar 31, 2021

L’ultimo anno ha accelerato molti cambiamenti. Uno dei campi più lenti a recepire questi impulsi però è stata l’architettura. Come si progetta un mondo post-Covid-19?

Il 19 marzo 2021, in concomitanza con la Milano Digital Week, si è tenuto l’evento Ultrauffici in Ultrapolis introdotto e moderato da Stefano Lazzari di Digital Guys. Una tavola rotonda, prevalentemente composta di architetti, si è confrontata su temi quali: la sostenibilità, il remote working, la realtà virtuale e molto altro. Gli ultrauffici sono gli uffici che escono dai loro spazi tradizionali ed entrano nelle mura di casa, possono essere uffici virtuali e sono spesso dislocati nella cartina geografica.

Lo sforzo immaginativo è di anticipare e prevedere le rivoluzioni che l’architettura dovrà compiere per potersi adattare al mondo lavorativo post-Covid-19.

Da headquarter a heartquarter: gli ultrauffici del futuro

L’evento è stato aperto da Danilo Premoli, architetto, artista e blogger per Office Observer. Attraverso il podcast ‘L’ufficio dopo il virus‘, consistente in trentasei interviste, Premoli ha rintracciato i punti convergenti nelle opinioni di vari professionisti. Ciò che emerge è che con molta probabilità gli headquarter del futuro non saranno solo luoghi di elaborazione del pensiero ma anche (e, forse, soprattutto) posti di incontro e relazione, di rappresentanza e di regia.

Il passaggio sarà da headquarter a heartquarter, da testa pensante a cuore pulsante dell’ufficio.
L’elaborazione, di contro, continuerà principalmente attraverso il remote working. Maurizio de Caro, architetto e docente di Teoria ed Estetica della progettazione, si interroga se a questo punto abbia ancora senso parlare di una nuova architettura per uffici o se lo spazio diventerà così flessibile da non aver più bisogno di definire le sue funzioni. Se nell’ufficio si mangia, si dorme e più in generale si vive, com’è possibile rintracciare nuove soluzioni?

Ripartire dall’individuo

L’esplosione degli spazi del lavoro, che fino a così poco tempo fa corrispondevano comunemente agli spazi dell’ufficio aziendale, obbliga a rivalutare il valore dell’architettura. Che cosa significa essere architetto quando lo spazio diventa fluido? Secondo Maurizio de Caro la pandemia ha cambiato tutti gli schemi e ribaltato i paradigmi esistenti. Un architetto può riscoprirsi creatore di illusioni, di sogni, di realtà virtuali, che è poi ciò che ha fatto «dai tempi di Segesta a oggi». L’architettura, sempre secondo de Caro, è una proiezione del nostro Io: «gli ultrauffici del futuro saranno semplicemente lo spazio che abbiamo intorno, qualunque esso sia».

Per riuscire a definire il ruolo dell’architettura nel mondo di oggi è quindi prima necessario riscoprire il ruolo dell’individuo. Un mondo in rivoluzione comporta tante responsabilità individuali, ma anche molte opportunità. Per Leo Sorge, curatore di ‘Lavoro contro futuro’, l’unico modo di sopravvivere è acquisire competenze e continuare ad aggiornarsi. Il Covid-19 ha spinto chi era in un processo di aggiornamento ad aggiornarsi più velocemente. Chi non era organizzato e non si organizzerà sarebbe destinato a scomparire.

Su questo sembrano esserci pochi dubbi, anche per Paolo Valente, architetto esperto di comunicazione e crossmedia, chi è pronto a subire questa accelerazione può non solo trovare la misura per sopravvivere, ma anche l’occasione di riprogettarsi e creare opportunità. «Non c’è una regola per cui lo smart working va bene o non va bene», aggiunge Valente, «Chi è in grado di riallocare il personale avrà successo, chi aspetta l’aiuto dello Stato rimarrà spettatore».

Le case come ultrauffici, le città sovrappolate

Nell’ultimo anno per molti l’ufficio ha assunto l’aspetto della propria casa. Ciò che emerso però, spiega Giuliana Zoppis, architetto e giornalista, è che questi spazi sono spesso inadeguati all’adempimento delle nuove funzioni. Ricerche in corso sembrano dimostrare che, soprattutto nelle città, sia spesso necessaria almeno una stanza in più. La necessità di case più ampie ha contribuito all’aumento del costo medio per l’acquisto di una casa in città. La case come ultrauffici e come realtà produttive portano con sé problematiche complesse che vanno ad aggiungersi a quelle preesistenti. Zoppis riferisce che entro il 2050 si prevede che almeno due terzi della popolazione mondiale vivrà in una città, creando diseguaglianze e pesi insormontabili.

Un esempio offerto da Zoppis che potrebbe essere luminoso in questo senso è quello di Facebook e del ‘near home work’. Entro il 2030 Mark Zuckerberg prevede di allocare permanentemente almeno metà della forza lavoro di Facebook in remote working. Non solo, invece di avere uffici enormi localizzati nelle grandi città il tentativo sarà di aprire un maggior numero di uffici ma più piccoli e disseminati. La speranza così è di ridurre il tempo speso dai dipendenti per arrivare a lavoro e creare piccole comunità produttive e creative dislocate in molte zone.

Progettare città a prova di futuro: l’esempio di Barcellona

Il caso Facebook è sicuramente stimolante, ma trattandosi dell’iniziativa di una multinazionale ovviamente rimane esclusa la demografica che è principalmente afflitta dai tempi del pendolarismo: i fattorini, gli operai, gli assistenti sanitari, la «forza lavoro massiva». Giuliana Zoppis crede che per poter davvero risolvere questa problematica sia necessario riprogettare la realtà produttiva delle città e porta l’esempio di Barcellona. La sindaca di Barcellona, Ada Colau, prevede di trasformare la città entro il 2030 tramite un progetto di inquartieramento. Il piano è di creare tanti vicinati di non più di 50.000 abitanti: piccole realtà produttive interne alla città, indipendenti le une dalle altre. L’obiettivo è di far circolare il 35% in meno di auto e passare dal 50% di aree destinate ai pedoni, al 71%.

Ovviamente però un conto è Barcellona, un altro sono Milano o Roma, o realtà ancora più complicate come i borghi appenninici. Su questo tema il gruppo di architetti ha tenuto un acceso dibattito. Alcuni credono che le peculiarità del nostro territorio siano da esaltare, altri invece pensano che l’unica via di uscita sia lo switch-off normativo. Allo stesso modo in cui è stato necessario passare dall’analogico al digitale potrebbe esserlo anche lasciare indietro le realtà che non sono in grado di stare al passo del cambiamento.

In ultima analisi la realtà su cui si può progettare già da adesso è quella che non è limitata dallo spazio: la realtà virtuale.

Le possibilità virtuali per gli ultrauffici del domani

L’architettura virtuale porta con sé molte libertà: si sgretolano le problematiche legate allo spazio e dal punto di vista ecologico ci sono vantaggi netti. Dario Buratti, architetto virtuale, porta la sua esperienza ventennale nel campo per raccontare e demistificare la realtà virtuale.

Nel 2020 gli utenti di Second Life, un mondo virtuale lanciato nel 2003, hanno incassato 73 milioni attraverso scambi di beni e servizi. Il GDP dell’economia di Second Life ha una crescita annua fra il 30 e il 40%, tutt’altro che virtuale. All’interno di questi spazi, Dario Buratti si occupa della progettazione e creazione di negozi e uffici venduti ad altri utenti. «La creatività e la funzione», riferisce Buratti « ruota tutta intorno all’avatar». Anche nello spazio virtuale quindi è sempre l’individuo a essere al centro.

Non stupisce forse che le similitudini fra architettura in spazio virtuale e reale siano molte. D’altro canto, l’utente finale è sempre lo stesso. Ciò che però differisce è la velocità con cui i riferimenti cambiano. Le influenze nel mondo virtuale derivano dal mondo del fumetto, dei videogiochi, vanno dal cyberpunk al fantasy, e sono sempre nuove e in flusso.

Il mondo virtuale è in grado di aprirsi alla sperimentazione ed è sempre soggetto a nuovi stimoli, offre una flessibilità non replicabile nell’architettura tradizionale. Forse però proprio per questo servirebbe smettere di guardare alle esperienze virtuali come qualcosa di finto ma come un terreno di prova da cui attingere. Se c’è qualcosa che il Covid-19 ha provato, del resto, è certamente che i confini fra reale e virtuale sono già molto più sottili di quanto si potesse immaginare fino a ieri.

Se ti interessa scoprire quali altri effetti il remote working stia avendo su città e dipendenti, Spindox ha già coperto questi temi negli articoli ‘South working e reshoring, dalla Sardegna con furore’, che trovi qui e nell’articolo ‘Zoom fatigue e social media: Lovink e la tecno-tristezza’, fruibile qui.

Lorenzo Montalti
Lorenzo Montalti
Nativo digitale ma amante della parola stampata. Si è diplomato in Informatica e laureato in Culture e Letterature del Mondo Moderno. Così come il binario alterna 0 e 1 anche lui è in costante ricerca del giusto equilibrio fra analogico e tecnologico.

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