L’industria farmaceutica italiana è ai primi posti in Europa per valore della produzione. A frenarla sono il peso della burocrazia e l’esiguità dei finanziamenti alla ricerca. Intanto anche il mondo del pharma e della salute incontra l’AI. Potrebbe essere l’inizio di un grande cambiamento.
Pharma & Life Sciences: l’importanza della ricerca
La pandemia del Covid-19 ha enfatizzato il ruolo dell’industria farmaceutica e della ricerca biomedica per la gestione delle grandi crisi sanitarie. Il Pharma & Life Sciences Summit, organizzato il 4 luglio scorso dal Sole 24 Ore, ha offerto l’occasione per tracciare il quadro delle trasformazioni che interesseranno Pharma, Biotech e Life Sciences nei prossimi anni. Un mondo che vedrà un utilizzo crescente della telemedicina, dell’intelligenza artificiale, del machine learning, dei big data e della realtà virtuale.
«Occuparsi di ricerca nel settore dell’industria farmaceutica è molto importante per il nostro paese» ricorda Fabio Tamburini, Direttore del Sole 24 Ore. «È necessario investire di più in questo settore perché in questo campo la strada da fare è ancora lunga. Infatti il nostro punto debole è quello della ricerca e dello sviluppo di nuovi prodotti. L’obiettivo è proprio quello di investire in questa fase.»
Ed aggiunge il Ministro della Salute, Roberto Speranza: «la vera sfida dei prossimi mesi, oltre a quella del Covid-19, è quella di trasformare la più grande crisi che abbiamo vissuto negli ultimi decenni sul piano sanitario in una possibilità di ripartenza, in un’opportunità di rilancio del servizio sanitario nazionale e più in generale delle politiche della salute e della scienza della vita. Oggi c’è una consapevolezza, che non c’era prima del Covid-19, di quanto siano centrali e fondamentali le politiche della salute. È quindi necessario investire sulle risorse. Ma le risorse da sole non sono sufficienti. Sono anche necessarie politiche per la ricerca. Un’altra sfida da affrontare è quella di superare un modello storico di programmazione della spesa sanitaria basato su silos chiusi.»
L’industria farmaceutica in Italia
Quello dell’healthcare è un settore strategico, non solo per la salute degli italiani, ma anche per l’economia nel suo complesso. L’Italia è un paese che ha numeri importanti nel settore della farmaceutica e dell’innovazione delle nuove terapie: siamo tra i paesi leader nella produzione, raggiungendo un valore pari a 34 miliardi.
Al contrario, secondo l’EFPIA il nostro paese non occupa una buona posizione per quanto riguarda le risorse investite nel settore della ricerca. Se ci confrontiamo con i maggiori paesi europei, scopriamo di essere molto indietro. L’Italia investe della ricerca farmaceutica solo 1,6 miliardi di euro, la Francia 5 miliardi, mentre la Germania arriva addirittura a 17.
C’è poi il comparto Biotech. Nel nostro paese sono 376 le aziende che si occupano di biotecnologie applicate alla salute. Esse corrispondono al 48% del totale delle aziende biotech. Queste imprese rappresentano un’opportunità di crescita perché il mercato europeo investirà fino a 418 miliardi di euro entro il 2028.
«La ricerca e la produzione nel settore farmaceutico e biotech sono un asset strategico che i singoli paesi devono avere in agenda come priorità» ricorda Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità. «La ricerca deve essere innovata attraverso due grandi pilastri. Il primo è quello della ricerca finalizzata, orientando le risorse per affrontare questa pandemia. Il secondo pilastro è quello della traslazione, ovvero fare in modo che ciò che emerge dalla ricerca, trovi spazio nel mondo produttivo in tempi rapidi e con una scala adeguata alle esigenze di mercato. Il mondo farmaceutico è un ecosistema in cui sono presenti quasi tutti gli attori. Il problema è l’interconnessione tra questi attori e la regolazione dei flussi tra questi. Bisogna creare, quindi, una rete, una struttura che determini sia tempi che modi per comunicare».
I limiti burocratici in Italia
Il Covid-19 ci ha permesso di constatare come la collaborazione tra pubblico e privato sia stata di successo nel superare tante barriere, soprattutto burocratiche, che rendono l’ambiente sfavorevole alla ricerca e all’innovazione. Gli ostacoli che le aziende incontrano sono soprattutto di tipo burocratico oltre che economico. Ed è proprio a causa di questi ostacoli che l’Italia non riesce ad attrarre sufficienti risorse. Ecco perché, mentre nel campo della produzione abbiamo un mercato vivace, nella ricerca siamo indietro.
Un chiaro esempio dei limiti che la burocrazia pone alle aziende riguarda l’implementazione del regolamento europeo sulle sperimentazioni cliniche che è in ritardo nella sua applicazione. Il regolamento è stato introdotto nel 2018. Con la Legge Lorenzin sono stati messi a disposizione 12 mesi per poter implementate tutti i decreti attuativi. Ma questo decreto non è ancora entrato in vigore.
Parola d’ordine per il decollo dell’industria farmaceutica
«L’industria farmaceutica avrebbe bisogno di regole stabili che consentano di essere più veloci e al passo con gli altri paesi» osserva Massimo Scaccabarozzi, Presidente di Farmindustria. «I decreti non vengono adottati rapidamente mentre i comitati etici sono stati ridotti, ma sono ancora tanti».
La consapevolezza è fondamentale nel settore farmaceutico. Soprattutto la consapevolezza di far parte di un ecosistema. E la consapevolezza che ciascun attore coinvolto all’interno di questo ecosistema abbia un ruolo che deve rispettare e gestire in maniera proattiva. Inoltre è fondamentale il sistema di valutazione. Perché solo valutando sistematicamente si possono valorizzare tutte le fasi del processo, dalla ricerca al paziente.
Ed infine, fare squadra. Lavorare in partnership tra pubblico e privato per poter fare in modo che i risultati si raggiungano più velocemente. Un esempio di questa collaborazione è il progetto IMI DRIVE, che ha come obiettivo accelerare lo sviluppo di farmaci più efficaci e sicuri per i pazienti.
Industria farmaceutica e salute: tutto interconnesso
Il futuro della salute è connesso. Le nuove tecnologie ci stanno permettendo in ogni ambito di accorciare le distanze. Questo implica nuovi modi di muoverci, di acquistare, di curarci e addirittura di vivere. All’interno di questo contesto che cosa definiamo come connected health? Si parla di connected health quando le cure incontrano il digitale, quando l’introduzione di software e della tecnologia possono stabilire progressi e risultati misurabili in termini di salute.
Le ricerche di mercato suggeriscono che nei prossimi tre anni 652 milioni di consumatori nel mondo utilizzeranno una terapia digitale. L’aspirazione è ottenere migliori risultati in termini di salute e una migliore qualità delle cure sta portando il segmento della connected health ad una crescita esponenziale. Oggi il mercato globale vale oltre 216 miliardi di dollari. Ma è previsto che raggiungerà un triliardo e mezzo entro il 2030. Si prevede inoltre che i segmenti dei dispositivi medici connessi e della telemedicina siano quelli che crescono di più e più velocemente.
Ecco alcuni dati forniti da Andrea Russo, Energy, Industry & Life Sciences Division Director presso Capgemini: «da una nostra ricerca condotta a livello globale, compresa l’Italia, su 500 executive di aziende farm e biotech, l’84% degli intervistati ha dichiarato che l’opportunità di business della connected health supererà di molto quella del tradizionale business del farmaco. Ed in media il 13% del fatturato totale sarà derivato da prodotti connessi nei prossimi 5 anni. Tuttavia le aziende che intraprenderanno questo percorso dovranno gestire una trasformazione. Questo significherà ridefinire l’intera esperienza del paziente, andando oltre il farmaco. Costruendo così un programma che coinvolga tutti gli stakeholder interni ed esterni all’organizzazione. Tra le sfide maggiori che queste aziende si troveranno ad affrontare ci sono la sicurezza dei dati, l’introduzione di nuove tecnologie digitali e al tempo stesso l’incremento di competenze digitali all’interno delle organizzazioni».
Il sistema sanitario del futuro
Oggi c’è la volonta nazionale, attraverso gli investimenti di digitale, di creare un’infrastruttura e far arrivare il digitale a casa di ciascuno di noi. L’inclusione infatti è uno dei temi fondamentali. Perché, se il digitale divide, perde la sua efficacia.
L’ospedale del futuro è diverso da come viene concepita oggi un’infrastruttura sanitaria. Per questo motivo è necessario rivedere l’organizzazione al suo interno per accogliere il paziente digitale. È necessario rivedere i percorsi di cura inserendo il digitale all’interno di essi, non considerandoli come un’alternativa.
L’analisi svolta dall’Osservatorio del Politecnico di Milano afferma che nel 2021 l’utilizzo della telemedicina è diminuito rispetto al 2020. Questo dimostra che se la telemedicina viene considerata un’alternativa alla visita in presenza è destinata a non crescere. Se invece si considera la telemedicina in tutti i suoi aspetti all’interno di un percorso di cura, allora sarà anche un modo per risolvere il problema della sostenibilità del sistema sanitario.
Attualmente l’incidenza del fondo sanitario sul PIL non cresce. Anzi, al contrario, sarà a livelli più bassi rispetto all’anno precedente per un valore di 6,4%. Quindi da un lato c’è un problema relativo alla scarsità delle risorse dedicate alla gestione, dall’altro c’è una mancanza di risorse umane.
Un’indicazione chiave del PNRR riguarda il fascicolo sanitario. Questo strumento non sarà più considerato una repository o un archivio di referti. Al contrario, diventa un sistema di connected care, ovvero un sistema interattivo fra pazienti, ospedali e territorio. In questo contesto il paziente deve avere un suo ruolo. Deve quindi essere un paziente competente. Da qui nasce il tema di come preparare il paziente a questa trasformazione digitale.
Lami: nuove modalità per nuovi medici di base
Lami è una start up nata nel 2020 con l’obiettivo di aiutare le persone a prendere le decisioni giuste per la loro salute, facilitando l’interpretazione dei sintomi e l’interazione con il medico.
Tre dati importanti che sono alla base di Lami. Si prevede che nei prossimi 5 anni in Italia ci saranno 30.000 medici di base in meno, su una base di 45.000 attuali. Il 60-70% di accessi al pronto soccorso sono codice bianco e verde. Si tratta quindi di situazioni che non richiederebbero alcun tipo di emergenza. Ed infine l’Italia è un paese in cui gli italiani consultano Internet, più precisamente Google, quattro miliardi di volte in un anno per questioni relative alla salute. E questo dato ha un tasso di crescita del 15% anno.
Lami & l’AI
Quindi come funziona Lami? Lo spiega Davide Barenghi, Founder & CEO della start up. «La persona immette il sintomo che sta riscontrando, vengono analizzati la presenza di eventuali fattori di rischio, patologie croniche e chiaramente la situazione concreta in cui la persona si trova. Viene quindi indicata la patologia alla base del sintomo che il paziente sta riscontrando. Successivamente Lami indica il percorso di cura più adatto – se è necessario andare al pronto soccorso o semplicemente consultare un medico di base –. Ed infine suggerisce in che modo quel paziente può interagire con il servizio sanitario- visita in presenza o televisita.»
L’obiettivo della start up è automatizzare l’indirizzamento del paziente nel percorso di cura più adeguato ovviamente a beneficio del paziente ma a beneficio anche dell’iter del sistema. Accorciando i tempi di diagnosi si accorciano i tempi della presa in carico. Si crea un beneficio sia per il sistema pubblico privato che per il paziente. L’obiettivo quindi non è quello di distinguere tra due patologie prossime ma rispondere alla domanda “ Devo preoccuparmi? Cosa devo fare?” attraverso l’interazione macchina medico.
Attualmente un medico di base artificiale non è ancora come un medico di base tradizionale, ma quella è l’ambizione.