Non tutti sanno che il primo programmatore in assoluto della storia è stata una donna: l’inglese Ada Lovelace, affettuosamente soprannominata dal celebre matematico Charles Babbage “Incantatrice dei numeri”.
Augusta Ada Byron, contessa di Lovelace, figlia del famoso poeta romantico Lord Byron e della matematica Anne Isabella Milbanke, è stata colei che ha dato vita al primissimo linguaggio di programmazione, in un’epoca in cui il computer come lo conosciamo oggi non esisteva ancora.
Vissuta nell’Inghilterra vittoriana, Ada viene educata in maniera austera e rigorosa dalla madre che, profondamente segnata dal fallimento del suo matrimonio, indirizza la figlia agli studi scientifici per allontanarla dalle orme paterne.
La ragazza però eredita lo spirito romantico di suo padre, un tratto che sua madre cerca in tutti i modi di temperare insegnandole la matematica. La combinazione di questi due aspetti, spesso erroneamente considerati agli antipodi – la matematica come negazione della fantasia – genera nella giovane donna un amore per ciò che lei stessa definisce “scienza poetica”, attraverso la quale unisce la sua immaginazione fervida e ribelle al suo incanto per i numeri.
« L’amore di Ada sia per la poesia che per la matematica le ha permesso di vedere della bellezza in una macchina informatica. La donna era un esempio perfetto dell’era della scienza romantica, caratterizzata da un entusiasmo lirico per l’invenzione e la scoperta »
Siamo a metà dell’800. La sensibilità rarefatta dell’Età romantica si scontra per molti con l’eccitazione tecnologica della rivoluzione industriale in corso. Ma Ada è a suo agio nell’intersezione di entrambi i mondi e diventa l’incarnazione di quelle dicotomie culturali che questo secolo propone: il sentimento e la ragione, l’istinto e l’intelletto, l’arte e la scienza.
La Rivoluzione Industriale con le sue invenzioni ha rappresentato quello che per noi è stata la Rivoluzione Digitale. Il computer, il microchip e Internet hanno cambiato completamente il nostro mondo, così come hanno fatto la macchina a vapore, il telegrafo e il telaio meccanico. Entrambe le epoche hanno in comune degli innovatori e delle innovatrici che hanno combinato la loro immaginazione e la loro passione con le meraviglie della tecnologia. O, come le definirebbe il poeta Richard Brautigan, con “macchine d’amorevole grazia”.
Oltre la Macchina Analitica
A 18 anni, come tutte le ragazze nobili del tempo, Ada viene presentata dalla madre in società. È in uno dei più famosi salotti di Londra che la giovane incontra il matematico Charles Babbage, che in quel periodo sta lavorando alla realizzazione della Macchina Analitica, ideata per risolvere problemi generali di calcolo, un vero e proprio antenato dei computer moderni che purtroppo però non verrà mai interamente costruito.
Entrambi, accomunati da personalità anticonvenzionali per l’epoca, diventano amici. Ha così inizio la loro straordinaria collaborazione che durerà per tutta la vita.
Il contributo di Ada non è stato solo quello di farsi portavoce delle potenzialità della Macchina Analitica traducendo in inglese il testo che il matematico Luigi Menabrea aveva dedicato alla macchina di Babbage. Il suo lavoro va oltre, gettando le basi dell’era digitale che sarebbe fiorita cent’anni dopo.
La donna infatti correda l’opera di commenti e note personali, concetti sorprendenti ed estremamente lungimiranti per l’epoca. È doveroso ricordare che essi si estendono su ben cinquantadue pagine mentre lo scritto di Menabrea ne comprende soltanto venti: complessivamente i suoi testi hanno il respiro di un saggio autonomo e compiuto e includono la stesura del primo algoritmo della storia.
Ma per capire meglio, facciamo un passo indietro alla Macchina Analitica. La macchina, nelle idee di Babbage, poteva essere usata per sviluppare qualsiasi funzione di generalità e complessità arbitrarie.
Mentre il matematico è concentrato sull’aspetto fisico della macchina, potremmo dire oggi sull’hardware, Ada era attratta dall’aspetto logico dei problemi. Nei suoi scritti parla di operazioni, stati, variabili, cicli annidati e sottolinea le difficoltà di comunicare in maniera univoca con la macchina e quindi della necessità di distinguere tra operazioni e dati delle operazioni.
« La macchina è capace in certe circostanze, di scoprire quale di due o più contingenze possibili si è verificata e di modificare il comportamento futuro in accordo a tale evenienza. […] Le schede delle operazioni possono essere lette in sequenza ma anche in senso opposto per poter così ripetere il processo, è possibile realizzare cicli dentro cicli, dentro cicli »
La nota che la rende famosa è però quella legata ad un algoritmo per la Macchina Analitica che consentiva il calcolo dei numeri di Bernoulli, riconosciuto oggi come il primo programma informatico della storia. Il calcolo potrebbe essere stato realizzato in collaborazione con Babbage (è ancora in corso una diatriba sulla paternità del programma). Tuttavia si può affermare con certezza che con o senza il suo aiuto, la donna ha perfettamente in testa sia l’algoritmo di calcolo – che verrà poi ripreso in mano da Alan Turing – sia il rispettivo programma per la macchina. Ma non basta: Ada deduce infatti che, se è capace di lavorare con i numeri, la macchina potrebbe farlo anche con simboli, linguaggio e musica.
« Il meccanismo delle operazioni può essere perfino messo in azione da qualunque oggetto su cui può operare; può agire su ogni cosa, oltre ai numeri purché tali oggetti siano assoggettabili a relazioni mutue fondamentali […]. Supponiamo che le relazioni fondamentali di una nota nella scienza dell’armonia e della composizione musicale sia suscettibile di una tale espressione di adattamento, la Macchina potrebbe comporre brani di musica di qualunque complessità e durata »
Più di altri Ada è stata capace di anticipare un futuro in cui le macchine sono parte integrante della vita dell’uomo, possono andare aldilà del mero calcolo e fare tutto, o quasi.
L’informatica non è un paese per donne?
Se siete arrivati fin qui è perché non conoscevate ancora la storia di Ada Lovelace.
Perché ve l’abbiamo raccontata? Il senso di tutto questo è cercare di creare modelli femminili alternativi, che spazzino via lo stereotipo (ne parliamo qui) della donna che non può essere ingegnere, della donna che non può essere informatica, della donna che non può essere programmatrice. E questo non solo per le donne, ovviamente, dato che il mondo della scienza mostra ancora notevoli squilibri tra ceti, etnie e nazioni.
La storia di Ada vuole essere uno stimolo ed un esempio positivo per tutte le donne che dedicano la propria vita allo STEM e che spesso sono costrette a combattere il pregiudizio che le vedrebbe poco portate per le discipline scientifiche.
Ma se è vero che l’informatica è in primis l’analisi della risoluzione di problemi, e che se ben usata può essere uno dei più potenti strumenti per migliorare le nostre vite, auspico che sempre più donne decidano di essere parte di questa grande meraviglia che ha cambiato e continuerà a cambiare l’umanità.
Fonti:
The Innovators: How a Group of Hackers, Geniuses, and Geeks Created the Digital Revolution, Simon & Schuster, 2014